La figura di Galileo Chini ci è sempre piaciuta nella sua interezza: il carisma, la fierezza, lo spirito avanguardista e la Sua Arte tutta, tanto legata alle proprie radici, quanto capace di evocare suggestioni di un esotismo lontano e raffinatissimo. Il dipinto che abbiamo avuto l’occasione di acquistare, “Firenze Ferita”, ci racconta una storia molto identitaria, di forte appartenenza e di radicamento, di irresistibile partecipazione.
Tutti i dipinti di questo ciclo, per freschezza e accordi cromatici emanano attrazione e seducente bellezza nonostante la drammaticità tematica.
Rovine di Firenze
Il ciclo sui ponti distrutti dai bombardamenti del ‘44 | Collezione del Comune di Firenze
Durante la II Guerra Mondiale, tanto i Tedeschi, quanto gli Alleati angloamericani causarono profonde ferite alla città di Firenze, colpendo sia il centro storico, sia le zone vicine agli snodi ferroviari. Le incursioni aeree e le distruzioni si concentrarono tra la fine del ’43 e il settembre ’44 e, rientrando a Firenze dallo “sfollamento” a Prato, Galileo Chini trovò una città violata dalla guerra.
Il nodo ferroviario di Campo di Marte e via Mannelli, i Viali, piazza della Libertà e altre zone meno centrali furono colpite dagli Alleati con sette incursioni successive a partire dal settembre del ‘43 per bloccare i movimenti dei Tedeschi, ma fu l’attacco tedesco del ’44 ai ponti e al centro che produsse le ferite più tragiche per la popolazione: torri e palazzi nobiliari, i lungarni, il centro medioevale e quello rinascimentale… ovunque cumuli di macerie e disperazione.
Le zone più colpite furono quelle intorno all’Arno e l’attacco più feroce avvenne nella notte del 3 agosto 1944: i Nazisti distrussero sistematicamente tutti i ponti di Firenze, per impedire il passaggio agli americani.
Si salvò solo Ponte Vecchio: non si conoscono i motivi, forse valutarono che fosse troppo stretto per il passaggio dei carri armati americani, o forse – si narra – fu merito di un eroe sconosciuto che nella notte disinnescò le mine del ponte, o ancora, altri ritengono che furono i Tedeschi stessi a risparmiare il ponte per salvarne la sua bellezza e il valore storico. Quale che sia stata la verità, Ponte Vecchio rimase in pedi, ma furono distrutte le zone attorno al ponte, in modo da creare enormi cumuli di macerie a sbarrare il cammino: Por Santa Maria, parte del lungarno Acciaioli, via Guicciardini, via dei Bardi e Borgo San Jacopo, furono duramente colpite, e queste immagini si fissarono negli occhi e nell’animo di Galileo Chini al rientro in città.
Incredulo di tanta crudeltà – come si evince anche dalle sue lettere conservate nell’Archivio, Chini iniziò a documentarne lo scempio con disegni e dipinti: opere quasi monocrome, con i colori delle macerie. Gialli, neri, marroni, le terre rosse dei mattoni antichi con cui erano stati costruiti nei secoli i simboli della storia fiorentina, le belle torri dei Ridolfi e dei Rossi-Cerchi e quella di Parte Guelfa, i palazzi dei Bardi e dei Mannelli, la facciata di Palazzo Guicciardini e tantissimi altri.
Sopra le rovine il cielo è bianco, come il velo di un sudario; il tratto fremente, veloce e spezzato esprime l’urgenza dell’artista di cogliere come in un reportage la sensazione di sgomento di fronte alle distruzioni. Con la sua pittura e i disegni Chini raffigura gli angoli più martoriati della città, e anche il ponte Bailey montato dagli americani in pochissimo tempo per riunirne le due parti divise.
Consapevole dell’importanza storica di questi dipinti, già nel 1945 Chini volle donarne una gran parte al Comune di Firenze, che ne possiede oggi quindici: tredici raffigurano via Vacchereccia con lo sfondo di Palazzo Vecchio, le case di via de’ Bardi, le case di Borgo San Jacopo, il ponte Santa Trinita visto dal lungarno Acciaioli, la chiesa di Santo Stefano con le sue adiacenze, le torri e le macerie di Borgo San Jacopo, il moncone di via de’ Bardi, via Guicciardini, le torri di via Por Santa Maria e la via stessa, il Ponte degli Orafi, il lungarno Acciaioli e le case del vicolo del Buco. Due, acquistate dal Comune in un momento successivo, ma sempre dall’artista, raffigurano Ponte Vecchio.
I dipinti fanno oggi parte della raccolta comunale dell’ex Museo storico-topografico “Firenze com’era” e sono conservati presso i depositi dei Musei Civici Fiorentini. Sono stati esposti solo in occasione di mostre temporanee e quindi al momento non sono visibili al pubblico.
A cura di Claudia Menichini
Si ringrazia per la collaborazione Musei Civici Fiorentini